La Valle di Malito
Per saperne di più si veda la relazione:
IMPORTANZA CONSERVAZIONISTICA A SCALA REGIONALE E
SOVRAREGIONALE DEL COMPRENSORIO MONTE ROTONDO - VALLE
DI MALITO - MONTE FRATTA - MAGLIA CUPA - MONTE CALATA -
VALLE DEL RIO TORTO (RI)
vedi articolo completo (file PDF)
, vedi gli autori.
per la citazione del presente lavoro:
Caporioni M., Carotenuto L., Di Clemente G., Notarmuzi
M.C., Peria E., Pizzol I., Valfre D., 2010. Importanza
conservazionistica a scala sovraregionale del comprensorio
Monte Rotondo - Valle di Malito - Monte Fratta - Maglia Cupa
- Monte Calata - Valle del Rio Torto (RI). A cura di: Regione
Lazio Direzione Regionale Ambiente e Cooperazione tra
i Popoli, IV tav. + 72 pp
La Valle di Malito, attraversata dal torrente Apa è ricca di vegetazione, a partire dai castagneti da frutto, con presenza di numerosi esemplari monumentali, e dalle faggete (Fagus sylvatica). Non mancano i boschi di cerro (Quercus cerris) in associazione con carpino nero (Ostrya carpinifolia), orniello (Fraxinus ornus) e castagno (Castanea sativa). Nelle zone di ripa dei torrenti troviamo il salice ripaiolo (Salix eleagnos), il salice rosso (Salix purpurea) e sporadicamente il salice da ceste (Salix triandra). Nei tratti inferiori dei fondovalli sono presenti anche il salice bianco ( Salix alba) e il pioppo nero (Populus nigra).
La zona, da sempre coltivata, ospita anche piante da frutto come il melo (Malus sp.) ed il pero (Pyrus sp) e il ciliegio (Prunus sp.).
I castagneti, i coltivi, gli ortaggi, i boschi con la legna da ardere, hanno fatto della Valle di Malito un luogo "prediletto" per la popolazione locale, sono disseminati , infatti, lungo la valle numerosi casali, una volta come adesso punti d'appoggio per le attività agro-silvo-pastorali.
Il nome di Malito può avere diverse interpretazione etimologiche, la prima porta ad attribuirne il nome alla numerosa presenza storica di meli (in latino "malus"), la seconda invece sembra attribuirne il nome al destino che toccava a chi anticamente transitava per la valle e veniva "predato" dei propri averi (Malito= male ito).
La ricchezza d'acqua della valle ha portato anticamente alla costruzione di un opera idraulica, definita, come
una delle meraviglie dell' Abruzzo Ulteriore dallo storico Teodoro Bonanni (1833) ,
ossia la costruzione di una galleria, con funzioni di acquedotto, che dalla
località "Puzzella" (quota 961m.) attraverso il Monte Frontino, per una lunghezza
di c. 750m., raggiungeva la sommità del paese di Santo Stefano (quota 955m s.l.m.),
ed andava a servire gli insediamenti urbani presenti nella piana dell'attuale
Corvaro.
Una delle ipotesi è quella che fa risalire
la realizzazione dell'opera a Sesto Giulio Frontino (30-40, 103-104 d.C.)
Curator aquarum (sovrintendente agli acquedotti di Roma) dal 97d.C. sotto l'imperatore
Nerva. Il nome dato al monte (Frontino) potrebbe essere un omaggio al
Curator aquarum per l'opera realizzata.
La galleria è stata riutilizzata nel corso dei secoli soprattutto per fornire
forza idraulica ai vari mulini disseminati
dall'attuale Santo Stefano alla piana del Cammarone (Corvaro).
Il numero massimo di mulini era intorno alla dozzina, di questi ne
rimane ben conservato, per la cura dei proprietari, solo il "Mulino Martorelli",
il primo che si incontra dopo lo sbocco della galleria.
Altri fanno risalire il nome Frontino alla presenza di un oppidum ossia un insediamento equo atto alla difesa e all'avvistamento, in questo caso frontino assume il senso di "piccolo fronte".
La Valle di Malito è legata anche alla presenza di
un santuario dove tutti gli anni,
nella prima domenica di luglio,
le popolazioni di Corvaro, Santo Stefano, Castelmenardo
e dei paesi limitrofi salgono per venerare l'omonima Madonna di Malito.
L'antica chiesa ha custodito da sempre un'immagine sacra,
una Madonna col bambino, su legno di pioppo. Narra la leggenda che questa icona
fu ritrovata in una grotta del Monte Costa e fu, da subito, contesa tra gli abitanti
di Santo Stefano e Corvaro. L'ebbero in carico dapprima i corvaresi, ma il giorno
seguente l'immagine sacra fu ritrovata di nuovo nella grotta e così accadde anche
quando fu presa dagli abitanti di Santo Stefano. Allora le due popolazioni caricarono l'immagine
sacra su di una mula, che si inginocchio nel punto in cui in seguito fu edificato il Santuario.
La chiesa fu ristrutturata nel 1967 perdendo il suo stile originario.