Terza puntata. Intervista a Giorgio Boscagli: l'Orso Marsicano vale più del Colosseo
tratto da gaianews.it

Per la terza puntata dell'Osservatorio sull'Orso Marsicano vi proponiamo un'intervista al dottor Giorgio Boscagli, direttore del Parco delle Foreste Casentinesi. Vi segnaliamo che, a partire da oggi, le interviste sono scaricabili e fruibili anche in formato podacst


Siamo con Giorgio Boscagli, biologo e direttore del Parco Nazionale delle foreste Casentinesi. Boscagli dal 1980 al 1986 ha collaborato come biologo e ispettore di sorveglianza al Parco Nazionale d'Abruzzo . Dal 1987 al 1994 è stato dipendente del Parco Nazionale d'Abruzzo come coordinatore dei Servizi di Sorveglianza. Nel 1995 è stato direttore del Parco Regionale Sirente-Velino. Dal 2000 al 2010 ha lavorato come consulente per molte amministrazioni anche per la tutela e la conservazione dell'Orso. Dal 2010 è direttore del Parco Nazionale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi (AR).

La storia e le cause del processo di estinzione

Domanda: Dottor Boscagli quando e perché l'orso è diventato una specie a rischio di estinzione e qual'era l'area che occupava allora?

Giorgio Boscagli: Allora: non esiste un momento in cui una specie diventa dall'oggi al domani a rischio di estinzione. Purtroppo il processo di estinzione è, appunto, un processo, una serie di fasi successive. Quello che possiamo dire in termini storici per l'Orso Marsicano è che alla fine del XIX secolo ci si rese conto che la specie stava diminuendo e non c'era sicuramente la sensibilità che c'è oggi. Però grazie ad Erminio Sipari, che fu praticamente, il fondatore del Parco Nazionale d'Abruzzo, all'inizio del XX secolo inizio un processo che doveva portare alla istituzione del Parco Nazionale d'Abruzzo che fra i suoi motivi di fondazione aveva quelli della tutela dell'Orso e del Camoscio d'Abruzzo perché si sapeva che ormai la specie in Italia centrale, lungo l'Appennino, era soltanto lì. Quindi direi che il processo di contrazione della popolazione di Orso Marsicano è andato via via diventando sempre più vicino al rischio di estinzione nel corso del XIX e del XX secolo. Fu il primo atto che lo Stato Italiano in qualche modo destinava alla tutela dell'orso. C'è anche da dire rispetto a quanto mi chiedeva con la precedente domanda, cioè dove viveva allora l'orso, che sostanzialmente l'orso nel corso degli ultimi secoli sicuramente è stato presente in gran parte dell'Appennino. Tra l'altro abbiamo di recente fondato, insieme ad un gruppo di appassionati, la Società Italiana di Storia della Fauna, una Onlus che avrà fra i primi compiti quello di stabilire nel corso degli ultimi secoli dove era presente l'Orso Marsicano. Per esempio qui alle Foreste Casentinesi, il Parco Nazionale che ora dirigo, abbiamo documentazione che nella prima meta del '700 qualche individuo di orso ancora esisteva da queste parti, e siamo in Appennino direi settentrionale.

D: Molto interessante. Quindi le cause dell'arrivo alla minaccia dell'estinzione dell'orso sono soltanto antropiche o anche naturali secondo lei?

G. B.: No, direi solo ed esclusivamente antropiche e in grandissima prevalenza legate alla sottrazione di ambienti vitali: l'orso non è un animale, a differenza per esempio del lupo, particolarmente adattabile alle mutazioni ambientali. Paradossalmente è un animale molto più fragile da un punto di vista ecologico e comportamentale. Per cui le cause sono l'antropizzazione del territorio e cioè l'uso sempre più intensivo del territorio e la presenza umana stessa sul territorio in progressivo aumento dalla rivoluzione industriale in poi e direi anche la persecuzione diretta: questa non si può negare perché un certo luogo comune vuole che l'orso sia sempre stato amato. In realtà l'orso è stato amato dove non dava fastidio. Dove ha dato fastidio, ovvero ove ha dato qualche problema all'economia dell'uomo, quest'ultimo certamente non si è peritato di sparare una fucilata o mettere un boccone avvelenato per eliminarlo. A questo aggiungerei, ma è problema degli ultimi cinquanta anni il problema degli impatti con autoveicoli e, ultimamente molto meno e di più negli anni passati, con i treni. Questo pero direi che è quasi un'appendice dell'antropizzazione del territorio.

Lo studio e la conta degli esemplari di orsi

D: Quando si è cominciato ad affrontare il problema dell'estinzione dell'orso con criteri scientifici e in che modo?

G. B.: Tempo per tempo e momento per momento direi che à all'epoca di Erminio Sipari, quindi primi anni venti del XX secolo, si cercò, con un approccio minimamente scientifico, ma all'epoca minimamente scientifico significa che per esempio lo stesso Erminio Sipari di fronte al quale bisogna togliersi il cappello per la lungimiranza che ha avuto, si premurò di fare una sorta di statistica delle uccisioni di orso che erano avvenute nell'ultimo secolo e di dove queste uccisioni erano avvenute. Dopodichá alla fine degli anni 20 e inizio degli anni 30 ci furono dei tentativi di stima della popolazione ovviamente con gli strumenti, le risorse e le conoscenze che c'erano all'epoca. Poi nel corso dei decenni successivi, io direi con una interruzione nel periodo dell'ultima guerra mondiale fino ai primi anni 50, ci fu un periodo particolarmente poco attivo nella vita del Parco Nazionale d'Abruzzo che è stato poi un po' l'epicentro di tutte queste iniziative e attività per la tutela dell'orso. Poi dagli anni 50 in poi una ripresa dell'attenzione. Alla fine degli anni 60 con la ripresa delle attività del Parco, con una nuova direzione, una nuova amministrazione, si sviluppo un grosso sforzo per la tutela di questa specie animale, ancora una volta sottolineo, con le condizioni economiche, le risorse e le conoscenze dell'epoca, perché per esempio non si parlava di genetica, di analisi genetiche. Oggi si usano le analisi genetiche. Trenta o quarant'anni fa non si sapeva nemmeno cosa fossero. In quel periodo grazie anche alla nascita delle grandi associazioni ambientaliste, mi viene da ricordare il WWF, Legambiente e Italia Nostra, tutte associazioni che si dettero molto da fare per la tutela di questa specie, cominciò un'attenzione scientifica in senso più moderno per la conservazione dell'orso e furono attivate iniziative di ricerca. Fu anche il periodo in cui cominciai ad occuparmene io con metodi e strumenti che potremmo definire moderni.

D.: Può accennarci a come è evoluto il modo di contare gli esemplari di orso? Perché ovviamente una strategia per cercare di salvare l'orso dall'estinzione si basa anche sui numeri, cioè sul numero di esemplari e sulla costituzione della popolazione.

G. B.: Quello che possiamo senz'altro dire perché ci sono le pubblicazioni di questi risultati è che alla fine degli anni 20 e inizio degli anni 30 si è lavorato con i servizi di sorveglianza all'epoca nel Parco Nazionale d'Abruzzo con dei programmi di lavoro basati sulla conta delle tracce su neve. Lo stesso metodo ho adottato io alla fine del 1985: tenga presente che queste date sono legate sostanzialmente alla possibilità di contare il maggior numero possibile di animali in circolazione in correlazione al fatto che gli orsi, essendo animali che durante l'inverno hanno il cosiddetto letargo, e dico cosiddetto perché in realtà non è affatto vero che restano a dormire e che si risvegliano quattro mesi dopo, ci sono dei periodi di attività anche durante l'inverno. Però, per avere la possibilità di contare il maggior numero possibile di individui bisogna avere una nevicata diciamo indicativamente nella seconda meta, fine di novembre, in un periodo in cui solitamente c'è una depressione che porta neve anche alle basse quote, affinché si possa contare il maggior numero di individui ovvero i maschi che sono ancora tutti in giro e direi la gran parte delle femmine, anche quelle con piccoli che normalmente vanno a dormire prima degli altri individui. Per cui la medesima nevicata che dovesse arrivare alla fine di dicembre, primi di gennaio, chiaramente non raccoglierebbe il conteggio delle femmine con i piccoli perché quelle sarebbero in tana. Non è frequente. Negli anni che ho lavorato al Parco Nazionale d'Abruzzo una sola volta si presentarono le condizioni ottimali per fare questa stima. Prima di questa nevicata dell'85 che diede un risultato preciso e molto interessante sostanzialmente però in linea con quello che veniva contato 50 anni prima, si tento di conteggiare gli orsi in maniera indiretta, cioè raccogliendo segni indiretti di presenza, quindi impronte, escrementi e altri segni di presenza e con varie valutazioni in base all'uso del territorio e da ricognizioni sull'ecologia territoriale della specie che si sapevano all'epoca, si provò a stimare la popolazione. Successivamente, in anni molto recenti, si sta utilizzando il metodo della conta dei patrimoni genetici: ovvero, grazie allo sviluppo delle ricerche in ambito genetico è possibile praticamente, uso un termine con un'ombra di sorriso, "targare" ogni singolo individuo, esattamente come accade, tutti avranno sentito parlare del indagini sul DNA che vengono fatte nelle analisi criminologiche umane, con gli stessi metodi è possibile targare ciascun singolo individuo di una specie animale. Per cui con una buona raccolta di campioni di peli, escrementi qualche volta purtroppo anche tessuti di animali trovati morti, è possibile avere una stima della popolazione. Che però, avrà fatto caso, io uso il termine stima, non uso il termine censimento, perché in natura per una specie animale parlare di censimento anche se poi per brevità lo usiamo tutti è in realtà scorretto da un punto di vista metodologico perché un censimento prevedrebbe la valutazione fino all'ultimo individuo. Non c'è nessun metodo di lavoro in natura che consente di conteggiare tutti gli individui, fino all'ultimo, di una specie animale. Per cui sono tutte stime che hanno una maggiore o minore approssimazione rispetto all'entità della popolazione.

La popolazione di orso non è in diminuzione, ma non aumenta, ed è distribuita su una grande area nell'Appennino centrale.

D.:: Ripercorrendo i dati da quando abbiamo cominciato a contare gli orsi ad oggi, si può dire che la popolazione sia in diminuzione?

G.B.: Se guardiamo i dati, so che questo potrà provocare anche qualche contestazione, io sostengo di no. Però nello stesso momento sento la necessità di sottolineare che la popolazione non è in crescita. Nel senso che, pur nei limiti dei livelli di approssimazione dei metodi usati nel tempo, ovvero 1928 o 1930-32 Servizio di Sorveglianza del Parco Nazionale d'Abruzzo, 1985 io e altri collaboratori del Parco Nazionale, negli anni successivi l' Università di Roma, che sta usando i metodi genetici, il numero degli individui è sempre rimasto più o meno, ripeto è importante ricordare che questa è un'approssimazione, ma indicativamente, mi sembra che 40-50 individui sia la stima che è emersa in ogni caso. Il problema è che per avere la garanzia che questa popolazione possa sopravvivere bisognerebbe avere altrettanta garanzia che abbia almeno una tendenza all'accrescimento. Ora, una cosa abbiamo forse omesso di dire, che in realtà tutto il lavoro è incentrato e continua a svolgersi in grandissima prevalenza sul territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo e immediati dintorni; in realtà ormai una quindicina di anni fa, pubblicammo il risultato insieme a moltissimi altri colleghi fra i quali ad esempio l'attuale direttore del Parco Nazionale d'Abruzzo il dottor Febbo, ma non solo, anche diversi altri, una raccolta di dati dall'anno 1900 in poi che testimoniò in maniera assolutamente inoppugnabile come in realtà i confini del Parco Nazionale d'Abruzzo non contenevano e non contengono nemmeno oggi tutta la popolazione di Orso Marsicano bensì contengono l'area centrale di maggior densità di questa popolazione. In realtà l'orso è, ed è sempre stato, anche all'esterno del Parco, ovviamente con una densità molto, ma molto inferiore e sto parlando di tutto un corollario di territori oggi in gran parte all'interno di parchi e riserve naturali, ma che comunque sono ben lontani dal Parco d'Abruzzo. Sto pensando all'alta provincia di Rieti, alla Riserva naturale delle Montagne della Duchessa, al Parco Sirente Velino, al Parco oggi del Gran Sasso, ai versanti sud-orientali della Majella, al Parco dei Simbruini, a tutta l'Area dei monti Ernici, a tutto l'alto Molise Bifernino. Quindi un corollario di territori e ambienti dove l'orso, abbiamo potuto documentare tranquillamente che è sempre esistito. Però quando si dice l'orso è sempre esistito non significa che c'erano popolazioni di chissà quale densitàc, c'era e c'è tutt'ora, qualche individuo sporadico, generalmente maschi in dispersione alla ricerca di propri territori o di ambienti idonei alla propria sopravvivenza. È chiaro che questi territori, specialmente laddove esterni alle aree protette, come dire, garantiscono una tutela estremamente limitata all'orso, il che significa che purtroppo mi è capitato di essere testimone o referente di notizie delle quali non si riesce mai ad arrivare ad una fonte certa, ma che si capisce chiaramente che sono notizie fondate di abbattimenti clandestini di cui non si conoscerà mai il responsabile.

D: Avvenuti fuori dall'area del Parco Nazionale d'Abruzzo, nelle aree contigue, giusto?

G.B. : Ma ben oltre le aree contigue. Io ho pubblicato un lavoro sulla mortalità dell'orso nel 1986 dal quale risultava assolutamente evidente il fatto che l'indice di mortalità, per varie cause, bracconaggio, ovvero avvelenamento, lacci e fucilate, per impatto da incidenti stradali e ferroviari, su 45 orsi morti documentati che io raccolsi dal 1970 al e1984, oltre 30, quindi oltre il 60-65% erano stai uccisi all'esterno del territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo. È chiaro che è un discorso, come ho detto all'inizio di questa nostra chiacchierata, che va messo in relazione anche all'indice di densità della specie in sede locale posto per posto. E, questa è un'altra cosa che più di trent'anni di professione come biologo mi hanno insegnato, le cose si trovano se si cercano. Ovvero fino a quando non abbiamo cominciato a raccogliere in maniera sistematica insieme ad un gruppo di lavoro che fra l'altro si chiamavo Gruppo Orso Italia e che oggi praticamente non esiste piu, tutti i dati e le informazioni, le notizie e le testimonianze storiche, sulla presenza dell'orso, al di fuori del Parco circolava una convinzione, assolutamente priva di fondamento scientifico, circa il fatto che l'orso ad un certo punto, nel Parco d'Abruzzo si era spaventato dell'arrivo dei turisti e quindi che la colpa che l'orso si trovava al Gran Sasso o che si trovava in provincia di Rieti era perché era impaurito dai turisti. Io francamente non ho uno straccio di prova scientifica per tutto questo, e viceversa ho trovato che quando il turismo non si sapeva nemmeno cosa fosse, quindi parlo degli anni 30, degli anni 20, anche degli anni 50, l'orso era episodicamente presente in tutta quest'area di corollario, ma che ripeto è molto, molto oltre le aree contigue. Le aree contigue sono 50.000 ettari intorno al Parco d'Abruzzo. In realtà io sto parlando di decine e decine di chilometri dal Parco Nazionale d'Abruzzo, quindi non strettamente accorpato al territorio del parco. È evidente che se il Parco fosse molto più grande o se addirittura se tutti i parchi dell'Appennino centrale abruzzese e laziale fossero un'unica area protetta, a conservazione dell'orso, probabilmente se ne guadagnerebbe molto.

Quando si disturba l'orso: la storia di un'orsa in letargo e del taglio dei boschi

D: Secondo lei ci sono altre cause oltre a quelle che ha à elencato per cui la popolazione dell'orso non aumenta?

G. B.: Tenga presente che la biologia di questa specie è una biologia molto rallentata, per usare un termine facilmente comprensibile agli ascoltatori. E cioè la femmina d'orso si accoppia, se va bene, ogni due o ogni tre anni perché dalla nascita dei piccoli fino a quando i piccoli non sono completamente svezzati rifiuta i corteggiamenti del maschio. Il numero di maschi e il numero di femmine in una popolazione di ripeto 40, 50 individui, in realtà probabilmente se ne potrebbe aggiungere qualche altro perché quando si fanno queste stime qualche individuo periferico, argomento di cui abbiamo parlato fino ad ora, generalmente sfugge alla stima e al conteggio. Ma direi che le probabilità statistiche che tutti gli individui maschi e tutti gli individui femmine in grado di riprodursi arrivino a riprodursi tutti gli anni sono estremamente basse e questo è un dato oggettivo, direi un dato biologico. Se a questo aggiungiamo tutti gli elementi di disturbo dovuti all'uomo e all' utilizzazione del territorio.. Io ho sempre usato una frase che mi piace moltissimo e che mi piacerebbe venisse stampata sulle magliette di quelli che dicono di amare l'orso. Ci vorrebbe una cosa che dicesse "Amo l'orso, ma non ho bisogno di vederlo, mi basta sapere che c'è" perché una continua ricerca dell'osservazione dell'orso può costituire, non dico che costituisca sempre, un elemento di disturbo. Se a questo aggiungiamo poi tutto il disturbo inconsapevole.. A me è capitato quando catturavo orsi al Parco Nazionale d'Abruzzo, nell'ambito di uno dei progetti di ricerca che ho seguito per mettere radiocollari agli orsi e seguirli, di verificare che, per un errore di valutazione, per una carenza di comunicazione, non era stato comunicato a chi rilasciava le autorizzazioni per i tagli boschivi, che c'era in una certa zona un'orsa in letargo che era andata a fare una tana tra l'altro a pochissima distanza da un paese. Ne chi era preposto al rilascio per le autorizzazioni per i tagli boschivi aveva avvertito noi del gruppo di ricerca che in quella zona dove noi stavamo lavorando c'era una richiesta di autorizzazione per un taglio boschivo. Gliela faccio breve, arrivo l'autorizzazione, noi non ne sapemmo nulla, la ditta che doveva fare il taglio boschivo iniziò a fare il taglio boschivo, noi ce ne rendemmo conto soltanto perché cominciammo a sentire che lavoravano con le motoseghe nella valle vicina a dove eravamo accampati per questo programma di ricerca. La notte successiva all'inizio delle attività di taglio del bosco, l'orsa, in pieno inverno, credo fosse fine febbraio, fuggì dalla tana e dovette cercarsi un'altra tana. Le dico solo che il terreno era innevato, che l'orsa dormiva in una tana a 930 metri di quota e che andò ad intanarsi in una specie di cunicolo nella neve a 1400-1500 metri di quota. Che cosa significa questo? Significa che le probabilità di sopravvivenza di quell'orsa in una condizione cosi estrema, cioè di doversi trovare un rifugio è l'unico posto che trovò fu 500 metri di quota più in alto, in un ambiente estremamente ostile in quel momento, dove non c'erano risorse alimentari, disturbata durante la fase più delicata del suo ciclo vitale e cioè il letargo, significa che le probabilità, in un caso di quel genere, che quell'orso riesca a sopravvivere sono scarse. Se poi addirittura quell'orsa avesse avuto dei cuccioli, per fortuna in quell'occasione non li aveva, ma se avesse avuto dei cuccioli avremmo potuto dire con assoluta certezza che i cuccioli erano condannati a morte. Allora capisce che cosa significa disturbo antropico? Significa che ogni qualvolta si ha notizia di una presenza di orso in realtà avremmo la necessità di lasciargli qualche chilometro di assoluto silenzio e quiete, non è facile nel nostro mondo.

L'Orso Marsicano è un'emergenza che dura da 80 anni. La proposta del Captive Breeding

D.:: Sono d'accordo. Quindi secondo lei si può parlare di un'emergenza orso?

G. B.: Si è un'emergenza orso che dura da 80 anni. La cosa straordinariamente bella è che mi risulta, ripeto in questo momento io non lo sto seguendo, ma mi risulta che dalle ricerche che sono state condotte più recentemente con le analisi genetiche, che il patrimonio genetico dell'orso in realtà è ancora un patrimonio genetico sano, ovvero non affetto da quel fenomeno chiamato deriva genetica, ovvero la segregazione dei caratteri che indebolisce la capacita di sopravvivenza di una specie: quindi lo stato di salute dei singoli individui è buono. Questo però non significa che abbiamo delle garanzie da proiettare verso il futuro, verso quando i nostri figli saranno adulti, questa popolazione. È chiaro che deve essere garantito il numero degli individui e io a questo proposito, non escluderei affatto, in realtà è un'idea che stimolo e sollecito da molti anni e mi piacerebbe vedere il Ministero dell'Ambiente, che è poi l'autorità più alta in materia, prendere saldamente in mano, cosa che fin'ora non ha fatto, il problema della conservazione dell'orso e avviare, con le risorse economiche necessarie che sono sicuramente tante, un programma di riproduzione in cattività per motivi di sicurezza, perché altrimenti corriamo il rischio di fare, come è successo per gli orsi del Trentino, che ci siamo gingillati per 40 anni con pseudo tentativi di ripopolamento o di conservazione su territori troppo piccoli. Quando ormai la popolazione era ridotta ad un numero di individui assolutamente insufficiente a permettere una ripresa naturale della popolazione, ne erano alla fine rimasti quattro o cinque 15 o 20 anni fa. Alla fine si fu costretti a fare operazioni di ricolonizzazione, di reintroduzione con soggetti provenienti da altre popolazioni che erano da un punto di vista genetico sicuramente abbastanza simili, ma da un punto di vista di adattamento a quelle determinate circostanze ambientali, avevano qualche problema. Però volevo dire che noi dobbiamo garantirci, fino a che c'è un popolamento e quindi anche una variabilità genetica all'interno della popolazione sufficientemente ampia cosi come sembra esserci oggi, che si avvii, per motivi di sicurezza, un programma di cosiddetto Captive Breeding, cioè di riproduzione in cattività. Questo non ci deve costituire alibi per non fare più nulla per la tutela della specie perché fare una riproduzione in cattività non significa tutelare una specie in natura, significa garantirsi una sorta di scorta di sicurezza. Poi sull'altro fronte, quello della natura, di lavoro da fare ce n'è di qui alle prossime tre generazioni. Io sono sempre stato convinto, da che ho cominciato ad occuparmi dell'orso, che i risultati del nostro lavoro, se sarà stato fatto come si deve, si vedranno fra due o tre generazioni, non prima. Mentre noi siccome siamo molto antropocentrici, anche per quanto riguarda la nostra volontà di valutazione dei nostri risultati, abbiamo bisogno di vedere da un anno all'altro i risultati. L'orso questo non lo consente.

Il PATOM e i caroselli sciistici
L'Orso Marsicano vale più del Colosseo

D: Secondo lei ci sono delle operazioni, delle direzioni da prendere con urgenza che attualmente non vede messe in pratica? cioè c'è qualcosa da fare che non si sta facendo?

G. B.: Sicuramente un ampliamento del territorio del Parco Nazionale d'Abruzzo e una connessione ampia in termini territoriali con le aree protette circostanti in particolare con il Parco dei Simbruini, il Parco Nazionale della Majella, il Parco Regionale Sirente Velino, sarebbe altamente auspicabile. Ma poi quello che mi dispiace è che con operazioni tipo quella chiamata PATOM, che negli intenti teorici sembrava un percorso condivisibile in termini di obiettivi, in realtà poi le istituzioni e le autorità che gestiscono il territorio, meglio ancora se al di fuori delle aree protette, credo che non abbiano, quelle interessate territorialmente al problema, credo che non abbiano capito o non abbiano voluto capire che cosa realmente significasse mettere in un punto alto delle priorità la tutela di una specie come l'orso, perché fino a che continuerà a vedere autorizzazioni per ampliamenti degli impianti di risalita, realizzazioni di gallerie e progettazioni di campi da golf dentro al Parco Regionale Sirente Velino, una galleria che deve collegare i Piani di Pezza con l'Altopiano di Campofelice per creare un unico carosello sciistico, il raccordo dei territori sciistci fra i territori del Parco del Gran Sasso e quello del Sirente Velino, oppure per scendere sul versante fra Abruzzo e Lazio dove si vuole realizzare una strada all'interno del Fosso Fioio che costituisce uno dei corridoi più importanti fra Parco Nazionale d'Abruzzo e Parco regionale dei Monti Simbruini per quanto riguarda l'orso. Non le parlo di cose sentite dire o lette , sono cose che io in prima persona ho studiato, verificato, trovato le tracce e ricercato i percorsi di permeabilità fra un'area e l'altra e quindi lo posso testimoniare fino alla corte costituzionale questo fatto. È chiaro che un'esigenza di questo genere qualche volta contrasta con quello che io definirei un malinteso senso dello sviluppo economico. Ma qui entriamo in un altro ambito, non è più l'ambito dei naturalisti, delle aree protette, entriamo nell'ambito della gestione del territorio che regioni e province e direi anche comuni, dovrebbero fare e non fanno, anzi fanno il contrario. In tutto questo ci vorrebbe qualche volta un pugno di ferro da parte del Ministero dell'Ambiente che dice: "Signori, ad evitare che l'orso scompaia" che vale e mi assumo tutta la responsabilità di quello che sto per dire, vale incommensurabilmente di più di quanto non possa valere il Colosseo o il Duomo di Milano e le spiego anche scientificamente perché: ci vuole che questo diventi una priorità per lo stato. Allora il Colosseo e il Duomo di Milano che sono valori stupendi sotto il profilo del nostro patrimonio architettonico, umanistico più in genere, con le tecniche che abbiamo oggi saremmo in grado di riprodurli perfettamente. Un singolo individuo di Orso Marsicano, con le tecniche che abbiamo oggi sul pianeta, non che abbiamo oggi in Italia, non saremmo in grado di ricostruire un individuo di Orso Marsicano. Questo significa che se qualcuno capisce che cosa significa avere questa priorità, poi si agisce di conseguenza. Fino a che non si percepisce il valore di questa azione sarà troppo difficile agire di conseguenza in termini di pianificazione del territorio.

La popolazione del Parco e l'Orso Marsicano

D.:: Le chiedo una cosa a proposito della sensibilizzazione della popolazione che abita il parco: secondo lei è un fattore importante per la protezione dell'orso oppure no? cioè le persone hanno un'educazione alle tematiche della protezione dell'orso, oppure secondo lei per esempio queste morti per cause antropiche sono un segnale di cattiva informazione o di una cattiva relazione con la presenza dell'orso nel parco?

G. B.: Ho capito perfettamente la domanda però le sarei grato di toccare questo argomento con estrema delicatezza: intendo dire che io sono, in maniera del tutto non meritoria, testimone di un fatto: ho vissuto e lavorato al Parco Nazionale d'Abruzzo che è il territorio definiamolo storico, però, ve l'ho spiegato, geograficamente non l'unico dove l'orso vive. Dopodiché ho diretto per 5 anni un parco regionale che è nelle vicinanze. Direi che in linea d'aria sono 10 chilometri dal Parco d'Abruzzo. Io oggi posso dire, avendolo vissuto di persona, che la gente del Parco Nazionale d'Abruzzo, gli abitanti che vivono in particolare nei cinque paesi del cuore del Parco e cioè, Pescasseroli, Civitella Alfedena, Opi Villetta Barrea e Barrea, sono persone che in maniera più o meno consapevole, oggi devo dire anche in maniera molto consapevole, perché sono nate delle bellissime realtà in termini di sensibilità , proprio con attività economiche collegate al turismo che hanno come obiettivo prioritario la conservazione dell'orso. Il livello di sensibilità rispetto alla tutela di questa specie animale è altissimo. Il Parco del Sirente Velino è stato formalmente istituito nell"89, solo nel '95 è partito e io ne fui il primo direttore. Il Parco d'Abruzzo è nato fra il 22 e il 23. Io non mi ero reso conto, anzi mi ero illuso, nel senso laico della parola illlusione, che bastasse designare un posto come parco, aver fatto un po' di educazione ambientale, un po' di informazione, per far capire alla gente il valore di un animale cosi. Disegnai il primo logo del Parco Regionale Sirente Velino, perché non c'era un lira e non c'era un dipendente, quindi me lo disegnai da solo ed era proprio un impronta anteriore di orso e fu il primo simbolo del Parco Sirente Velino. Nel consiglio direttivo che avevo all'epoca mi presero per pazzo: "Ma qui non ci sono mai stati gli orsi, ma qui non si sono mai visti, ma come ti sei messo in testa di disegnare un'impronta d'orso". Dopodiché cominciammo la raccolta delle informazioni e si scopri che in realtà l'orso lì c'era, episodicamente, come le dicevo qualche minuto fa durante la prima parte dell'intervista. Il problema è che non si capisce quale può essere il livello di sensibilità se non si vivono queste realtà. Io oggi posso dire che nel Parco Nazionale d'Abruzzo al 99%, poi focalizziamo l'attenzione su quell' 1% che resta, al 99% è gente straordinariamente evoluta e consapevole del valore della conservazione dell'Orso Marsicano e direi che c'è proprio un tessuto sociale che ha raccolto, recepito, il lavoro di sensibilizzazione che è durato, e qui non bisogna spaventarsi, direi ormai quasi 90 anni. L'anno prossimo il Parco Nazionale d'Abruzzo fa 90 anni di vita. Ma ci son voluti 90 anni. Il problema qual'è, che per uccidere tre orsi, come è successo ad agosto-settembre del 2007, basta un unico singolo imbecille, o direi farabutto o criminale. Ne basta uno solo, capisce qual è il problema? Basta che un disgraziato vada a mettere un po' di bocconi avvelenati in un posto che si sa frequentato dagli orsi e si vanifica il lavoro fatto da decine e centinaia di persone e si vanificano milioni di euro di soldi pubblici spesi per la conservazione dell'orso. Purtroppo ancora una volta non si è trovato il responsabile di questo atto, furono uccisi tre orsi in un colpo solo. A me capito un'esperienza tragica dello stesso genere, se ricordo bene nell'84, di trovare due orsi, uno vicino all'altro presi in due lacci, perché un disgraziato aveva messi li due lacci per catturare cinghiali: Dopodiche aveva acchiappato orsi, ovviamente non è che gli poteva fare " pissi-pissi" aspetta che ti libero, a parte che non avevano nessuna volontà di farlo e li uccisero con arma da fuoco tutti e due. Allora lei capisce che se abbiamo un numero di individui di 40-50 di orsi e basta un singolo disgraziato di homo sapiens che fa un atto di questo genere, lei capisce quanto danno può fare. Immagini, quello che ha ucciso i tre orsi con i bocconi avvelenati io direi che lo possiamo paragonare ad un Bin Laden della natura, una cosa di questo genere.

La necessita che il Ministero dell'Ambiente si occupi dell'Orso Marsicano

D.:: Quali sono le speranze per l'Orso Marsicano ora e da chi dipende che, se necessario, vengano applicate misure urgenti?

G. B.: Mi rifiuto di accettare, ma qui entro nel soggettivo, che dobbiamo perdere le speranze per l'Orso Marsicano e devo essere sincero, conto molto sulla attuale amministrazione del Parco d'Abruzzo. Perché il Parco d'Abruzzo se non altro, è un ente che ha vissuto un periodo abbastanza buio e di incertezza per almeno una decina di anni. Recentemente c'è stata una ripresa dell'amministrazione, un tentativo coraggioso di recuperare una posizione storica di efficienza di operatività che quell'istituzione aveva perso. Però deve essere assolutamente chiaro che un piccolo ente pubblico, perché tale è, come tutti gli altri parchi, come quello che io dirigo, come tutti i parchi italiani, che ha addosso una quantità infinita di incombenze, da solo non potrà mai essere il garante di una popolazione di una specie animale cosi importante. O c'è uno sforzo ai livelli più alti del paese, sto parlando senza mezzi termini della Presidenza della Repubblica e del Ministero dell'Ambiente che dovrebbe costituire una sorta di ufficio apposito e una task-force apposita per questo tipo di problemi e per questo problema in particolare, la conservazione dell'Orso Marsicano. Lasciando pochi spazi alle strumentalizzazioni, ai protagonismi di professori universitari o di soggetti che hanno visto nell'orso più un'occasione di immagine che non di reale impegno per la sua conservazione. Ecco, se si riuscisse in questo, ma mi rendo conto che è una visione molto utopica la mia, però la speranza è questa. È chiaro che perdere l'orso, le ribadisco, sarebbe molto più grave che perdere il Colosseo, o il Duomo di Milano o Piazza della Signoria a Firenze.



Intervista a cura di Federica Di Leonardo


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